Perché vado in montagna (anche) da solo.
Riflessioni semiserie su un argomento delicato.
di Mario Gatti

La mia decisione di affrontare da solo un'escursione, una salita ad una cima o una semplice passeggiata suscita negli altri le più svariate reazioni. "..Ma devi proprio andare? Ma da solo? Ma non c'è qualcuno che possa venire con te? Mi farai stare in pensiero tutto il giorno. Scrivimi dove vai, mandami dei messaggi, chiama ogni tanto...". Questa è mia moglie che parla. La capisco e capisco la sua preoccupazione, ma le domande sono un po' scontate, dai...No, non è che devo proprio andare, è che voglio andare. Da solo si, da solo, ed evidentemente non c'è nessuno che possa venire se no saremmo in due. Io scrivo dove vado, ma lei sa dov'é la mia meta? No, non ne ha mai nemmeno sentito parlare, quindi.... Mandare dei messaggi e chiamare di tanto in tanto poi, al di là della scocciatura, è quasi sempre impossibile, specialmente se vai in Svizzera e ti becchi Orange Suisse, che non ti fa il roaming con i gestori italiani. Il cellulare prende a palla, ma quando chiami una vociaccia dura in tedesco ti fa intendere, anche se non capisci una cippa di quello che dice,  che è meglio se lasci perdere. Quindi il telefonino lo puoi anche lasciare a casa, tanto... Le mie figlie si comportano diversamente: sarà perché sono giovani e assolutamente digiune di montagna (nonostante i miei sforzi di educarle bene ho cresciuto due esseri abominevoli che preferiscono il mare), il che abbassa o azzera del tutto la soglia di percezione del rischio e del pericolo, ma il fatto è che per loro che io vada o no, da solo o con trenta persone non fa la minima differenza. Quando torno nemmeno mi chiedono dove sono stato. Il mio vicino di casa invece mi liquida con un "Ma tu sei pazzo", scuote la testa e si vede che non vuole aggiungere altro per paura di urtare la mia suscettibilità (altissima in casi come questo). Qualche mio collega al lavoro (uno o due) mi squadra con aria dubbiosa. Gli altri se ne fregano semplicemente. Gli studenti della mia scuola invece, quando ne parliamo, reagiscono diversamente a seconda se sono amanti di montagna o meno: nel primo caso la loro espressione ti fa capire che vorrebbero esserci anche loro, ma visto che non ci saranno accettano tranquillamente che io vada da solo; nel secondo caso non gliene fotte un tubo quindi cambiano discorso e si mettono a parlare di calcio, di voti o di interrogazioni. Atteggiamenti comprensibili che a me piacciono perché sono spontanei. I miei ragazzi non mi diranno mai " ma dai, ma no, è pericoloso, pensa di qui valuta di là...". Se lo pensano non te lo dicono perché sanno che tanto sarebbe inutile, se non lo pensano non lo dicono e non cercano di dirlo perché tanto va detto. I ragazzi avranno tanti difetti ma raramente, molto molto raramente, sono falsi e ipocriti. Ma quali potrebbero essere i motivi per osteggiare un'escursione solitaria? vediamo un po':
Chi va in montagna da solo è un incosciente.
No. Caso mai non sempre è ma può essere un imprudente. Incosciente è un'altra cosa, è colui che non ha coscienza, che ignora i rapporti tra cause ed effetti delle cose. Quando mi avventuro da solo per sentieri, rocce o nevai sono molto, molto cosciente. Ho paura, cavolo se ne ho, quindi cosciente lo sono. Se fossi incosciente non avrei nemmeno un filo di paura. Paura di cosa? Di quello di cui sarei incosciente? Anche sull'imprudente vediamo di ragionare: spesso mi accorgo di essere più prudente da solo che non quando sono con qualcuno, proprio perché mi mancano il parere, l'esperienza ed i consigli di chi è con me e che spesso è molto più esperto di me di cose di montagna. Ed ecco che divento tanto prudente che spesso rinuncio a fare qualcosa che in compagnia non esiterei a fare, magari con esito fatale però, chi può dirlo? E poi la presenza di un compagno è un grande help psicologico, ma non sempre si traduce in un aiuto realisticamente utilizzabile: se cado e mi ammazzo a me che mi frega se è lui che chiama i becchini? Li dovrei chiamare io? Molto peggio è se non mi ammazzo, allora si che l'altra persona diventa decisiva, ma solo se è nelle condizioni di farlo: se riesce a vincere lo shock (se vedete volar via un vostro amico voglio vedere quanto tempo ci mettete prima di rimettere a posto la vostra testa e tornare lucidi), se dopo il cervello gli funziona il cellulare (se ce l'ha) e sa cosa fare esattamente per chiedere soccorso e via così...
Chi va in montagna da solo è un egoista.
Ma chi va al Louvre a vedere la Gioconda e sogna di potersela guardare per ore (e non per qualche secondo, se no quello dopo di lui  si incazza perché è il suo turno), di poterle fare mille foto senza essere denunciato ed arrestato dalla solerte Gendarmerie, è un egoista? Ma no dai, non è un egoista, è un sognatore, tutto qui. E lo stesso è l'alpinista ( o più modestamente come nel caso mio l'escursionista di montagna): solo che l'alpinista riesce a realizzare il suo sogno, il povero visitatore del Louvre no. E' sognatore o egoista colui che vorrebbe che i Wiener Philarmoniker suonassero solo per lui i Valzer di Strauss al concerto del Primo dell'Anno? Beh...se è in grado di pagarselo il piacere magari glielo fanno. Invece l'alpinista e l'escursionista hanno un 'immensa orchestra che suona solo per loro, e gratis per di più. Una punta di egoismo, lo ammetto, ce l'ho quando vorrei essere da solo in quelle situazioni in cui mi trovo a dover condividere la montagna con troppe persone, magari che se ne sbattono della montagna in quanto tale e sono lì solo perché ci sono potuti arrivare con qualche macchina, bus , trenino o funivia e che fanno solo un gran casino. Poi ci ragiono e penso che tra di loro potrebbe esserci qualcuno che perché ormai vecchio o invalido non ha altro mezzo per raggiungere le sue montagne e allora divento più tollerante. Del resto anch'io se volessi vedere la Nord dell' Eiger da vicino ci andrei su con il trenino della Jungfraubahn (ammesso di voler spendere una cifra della malora...in fondo l' Eiger è bello anche da lontano...), ma sarei in buona compagnia, quindi questa storia non c'entra più con il discorso dell'andare in montagna da solo e non so perché l'ho tirata in ballo.
Ma allora, perché vado in montagna (anche) da solo? Non perché lo preferisco all'andarci in compagnia, al contrario: cerco sempre un socio di salita, e se proprio non lo trovo allora faccio da solo, ma è sempre una seconda scelta e comunque obbligata. Ma quando lo faccio, mi accorgo che aggiungo qualcosa alla mia persona: prima di tutto mi impongo di andare e di raggiungere una meta (cosa che quando si è in compagnia si fa perché tra le altre cose si deve mantenere l'impegno preso con altre persone; da soli sarebbe più facile svegliarsi al mattino, dire non ho voglia di andare e rimettersi a dormire); poi riesco quasi sempre a concentrarmi su quello che faccio (il discorso della prudenza di prima) al punto che mi sgombro la testa da pensieri e preoccupazioni. A volte invece con gli altri è più facile che si cada sul discorso e che se ne parli. Insomma mi mette d'accordo con me stesso, tutto qui.
In fondo in montagna non si è mai davvero soli.
E questo è verissimo. Qualche camoscio, cinghiale, capriolo, o bene o male che vada qualche marmotta d'Estate la si vede sempre. Scherzi a parte, io solo non lo sono mai perché sono in compagnia di me stesso. E quante volte sarebbe bene che accadesse anche quando non sono in montagna? Quanti errori potrei evitare nella vita se avessi il tempo di ascoltare la voce della mia coscienza che lassù, tra vette e rocce, grida tanto forte al punto che è impossibile che io non la senta? E poi al mio fianco c'è sempre il mio compagno invisibile. Non mettetevi a ridere, è così. Tutti i solitari delle montagne ne hanno uno, e sfido chiunque di loro a dirmi che non è vero. Un compagno e amico invisibile ma presente con il quale si parla, si discute di tutto, ci si scambia il cibo, si condivide la bellezza di una cima, la fatica di una salita, la sete, la fame, il freddo ed il caldo. E come è bello il fatto che sta sempre a sentirci e non ci contraddice mai vero? Chissà se è solo uno scherzo della solitudine o un'esigenza di avere vicino una persona che faccia e pensi esattamente quello che vorremmo...mah. Il mio compagno di salita si chiama Jan, detto Gian. Pensate che quando gli dico "Gian, che ne dici se passiamo di qui, non vorrei che li fosse troppo pericoloso" lui mi risponde "hai perfettamente ragione Mario, andiamo...". E poi magari mi danno dell'incosciente se vado da solo in montagna...

Nota: queste sono cavolate che ho scritto perché avevo voglia di farlo e basta. Spero di non aver offeso nessuno e circa le opinioni altrui, chiunque voglia ribattere o controbattere al fiume di scemenze che ho scritto può farlo nella sezione "Il mondo visto dall'alto" del Forum di questo sito. Mi auguro che siate in tanti a leggere questo scritto e a dirmi la vostra sull'argomento.